Genova: Lettera di un Kepì, “Angelo del Fango”

Le Voloire in soccorso delle famiglie alluvionate di Genova.

Lettera di un Kepì, “Angelo del Fango”

Alcuni militari del Reggimento Artiglieria a Cavallo, domenica 19 ottobre, liberi dal servizio, hanno deciso di recarsi a Genova in soccorso della popolazione colpita dall’alluvione e portare loro aiuto e speranza.

Milano, ottobre 2014. Poteva sembrare un sabato come tanti altri, telefonate di amici come ogni fine settimana ma lo scorso sabato per me e due persone, a me care, è stato diverso. Camilla, una mia ex collega di lavoro appartenente al Reggimento Artiglieria a Cavallo mi ha chiamato nel tardo pomeriggio chiedendomi se mi andasse di trascorrere la mia domenica a dare una mano agli “Angeli del fango” a Genova.

Mi sono attivato subito per documentare l’attività di queste persone, chi fossero e precisamente cosa facessero, ne avevo solo sentito parlare su internet. Ho letto e capito che, senza esitazione, sarei partito per Genova l’indomani. La nostra piccola squadra (Camilla, Lorenzo ed io), munita di grande buona volontà, si è organizzata alla meglio. Alle 21 per noi il massimo reperibile sono state due scope un po’ malandate, alcuni guanti da lavoro del papà di Camilla e un’auto. Durante l’organizzazione Lorenzo ed io, dopo aver riflettuto molto, abbiamo pensato di indossare i nostri pantaloni da lavoro, quelli magari più usurati che avevamo e gli anfibi. Ci hanno insegnato negli anni trascorsi nell’Esercito l’importanza dell’attrezzatura quando si affrontano determinate situazioni e cosa sarebbe potuto andar meglio se non una cerata e degli anfibi vissuti? Domenica mattina sveglia alle 5.00. Durante il viaggio abbiamo pensato a cosa avremmo trovato, a come avremmo potuto guadagnarci la fiducia di persone che non ci conoscevano, entrare nelle loro case, toccare le loro cose, lavorare spalla a spalla. Ne abbiamo parlato con un po’ di resistenza ma speranzosi.

Giunti al comune di Brignole ci hanno fatto comunicare le nostre generalità senza chiederci null’altro e ci siamo presentati come civili perché ci è sembrata la cosa più giusta per sentirci come loro (voi non immaginate solo due tavoli e due persone con dei fogli da registro e un rappresentante del comune)

“Ragazzi scusateci ma non abbiamo stivali e guanti da darvi, ma solo delle pale. Fate attenzione e salvaguardate la vostra persona prima di tutto. Durante il pranzo quando deciderete di farlo, consegnate questo buono, vi agevoleranno sul costo del pasto. Abbiamo appena ricevuto una telefonata da una famiglia non molto lontana da qui, potete raggiungerla a piedi, vi indicheranno loro cosa fare, buona giornata e buon lavoro”.

Con i nostri buoni pasto e le nostre malandate scope ci siamo incamminati aldilà di un ponte nei paraggi del Comune. Giunti sul posto, incrociare gli sguardi di quella famiglia non è stato facile, si percepiva diffidenza, dolore, perdita, paura e stanchezza. Cosa è accaduto? Beh, ci siamo lentamente amalgamati alla loro vita come il fango, qualche giorno prima, aveva fatto ma in maniera più irruenta. Il lavoro spalla a spalla, l’odore pungente e quel grigiore dappertutto è stato lentamente cancellato ma è come se addosso a noi avesse lasciato qualcosa di profondo. Nella vita quando scegli di diventare militare sai, dentro di te, che dovrai esserci per gli altri, che ci saranno persone che conteranno su di te ogni giorno in ogni situazione. L’Esercito mi ha insegnato questo, qualcuno conta su di

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noi e si sente diverso quando sa che ci sei. Forse anche Camilla che, adesso fa un altro lavoro, dentro di se ha ben saldi questi insegnamenti, tutto parte da un senso comune. Alla fine della giornata quando la nostra famiglia adottiva si era completamente aperta ci ha chiesto cosa facessimo nella vita e, solo in quel momento, abbiamo raccontato che il nostro attaccamento alla Patria e al senso comune era stato negli anni passati una nostra scelta di vita e di lavoro. Questo non ci rendeva però diversi da altri che in quello stesso giorno, in case diverse, in zone diverse stavano spalando, pulendo e ricostruendo come noi e forse più di noi.

Ci hanno detto che sarebbero venuti a parlare alla nostra caserma infondo non sapevano cosa darci ma noi con un sorriso gli abbiamo detto che quello che avevamo vissuto, quello che avevamo sentito e quello che ci porteremo nel cuore non è qualcosa di materiale. Patrizia ed Agostino hanno insistito chiedendoci i nomi ed una mail o un domicilio, prima di andar via gli abbiamo scritto un biglietto e lasciato un sorriso con una nuova speranza nei loro occhi.

Ieri, il mio collega ed io abbiamo ricevuto un elogio dal nostro Comando Reggimento. Cosa bellissima e di cui siamo grati. Avrei voluto raccontare la mia esperienza, avrei voluto condividerla e dire a tutti che quando succede qualcosa si devono abbattere le barriere fatte di pregiudizi e luoghi comuni. Avrei voluto dire che potete essere volontari per gli altri, stare con gli altri, semplicemente sentendolo a prescindere da chi siete e da dove venite.

Ieri sera ho guardato i miei anfibi lucidi, i miei indumenti profumati di bucato, le scope nuove appena acquistate, i guanti logori ma tornati gialli e chiudendo gli occhi ho percepito ancora quell’odore acre e umido di fango che un po’ ci sentiremo ancora addosso e che, credo, non andrà mai via.

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